Il Sudafrica è campione del mondo/2: la corte di Vito Roberto Palazzolo e i miliardi all’ombra dei boss

La prima partita l’abbiamo pareggiata ma sapremo presto riprenderci. Peggio di così è impossibile ma concordo con Roberto Beccantini che per la Stampa ha scritto che siamo umili e mediocri. Visto che umiltà e mediocrità oggi portano in alto in questo fottuto Paese chissà che non ci portino anche sul tetto del mondo calcistico. Speriamo.

Chi ha cuore le sorti sociali ed economiche del Paese, oltre a quelle calcistiche (a proposito: ma che Nazionale è senza Totti!) dovrebbe scommettere su una partita ben più importante: l’estradizione in Italia di Vito Roberto Palazzolo, condannato a Palermo a 9 anni per associazione mafiosa il 5 luglio 2006.

Vito Roberto Palazzolo è stato condannato definitivamente per associazione mafiosa dalla Cassazione solo nel marzo 2009. 

E’ latitante da 24 anni e per questo periodo non solo si è goduto la vita ma, secondo le accuse dei giudici, non certo secondo le mie, ha corrotto e inquinato il Sudafrica, oltre a far riciclare verosimilmente in quel Paese e aree limitrofe miliardi nei diamanti (e non solo) per conto dei Corleonesi.

Prima di trattare della sua storia – nei prossimi post – raccontiamo cose certe: con il suo arrivo in Sudafrica, Cosa Nostra secondo i pm ha fatto bingo.

 

NELLA RETE CADE TROIA

 

Il primo a cadere della rete auto-ricostituente di Palazzolo è stato Mariano Tullio Troia, il boss mafioso del quartiere San Lorenzo a Palermo, 77 anni, morto il 27 marzo 2010 in ospedale a Viterbo dopo che i suoi legali avevano ottenuto un differimento pena per le sue condizioni.
I funerali, come scrive il Giornale di Sicilia, si sono svolti il 30 marzo e alle esequie ha partecipato il figlio Massimo, anche lui detenuto per mafia. La cerimonia si è svolta in una zona del cimitero presidiata da Carabinieri e polizia. Troia, arrestato il 14 settembre 1998, era considerato uno dei luogotenenti di Salvatore Riina ed era ricercato, tra l’altro, come uno dei mandanti dell'omicidio del deputato democristiano Salvo Lima. La sua cosca, secondo uno dei pentiti che ha fatto il suo nome, dominava nella parte occidentale della provincia di Palermo, tra Capaci, Carini e Terrasini, con il sistema dei subappalti.

Mariano Troia era imparentato con la famiglia Morettino, importanti imprenditori operanti nel settore del caffè, che hanno anche proprietà a Cape Town. Segnatamente i due oriundi che si sono trasferiti sono Salvatore e Angelo Morettino,  a carico dei quali ci furono indagini che però sfociarono a ben poco dal punto di vista giudiziario. “Di certo, tuttavia – scrivo i giudici della terza sezione penale del Tribunale di Palermo Donatella Puleo, Vittorio Alcamo e Lorenzo Chiaramonte nella sentenza di condanna di Palazzolo del 2006 – la casa dei Morettino era frequentata dal Palazzolo e da altri soggetti provenienti dalla Sicilia, tra i quali anche la sorella dell’imputato ed il marito. Tale accertamento è stato possibile in quanto lo Smith, esaminando la spazzatura della casa, rinveniva le carte di imbarco utilizzate da tali soggetti per giungere in Sudafrica”.

Il figlio di Mariano, Massimo Giuseppe Troia, 35 anni, è stato nuovamente arrestato il 10 giugno, come riporta l’Adn Kronos con un lancio delle 10.45.

 

NELLA RETE CADONO BONOMO E GELARDI

 

Il 14 novembre 2003 fu arrestato a Roma dagli uomini di Polizia di Stato e Interpol in collaborazione con il Sisde il latitante Giovanni Bonomo.

Bonomo, che era latitante da sette anni, destinatario di due ordinanze di custodia cautelare in carcere per omicidio, associazione di tipo mafioso, turbativa d’asta e per un ordine di carcerazione in seguito ad una condanna sempre per reati di mafia, era stato individuato in Senegal ed espulso verso l’Italia.  Gli investigatori  – per i quali il boss arrestato avrebbe svolto un ruolo fondamentale nel supporto e nell’appoggio operativo in favore di Leoluca Bagarella e di Giovanni Brusca – sanno che durante la latitanza avrebbe sostenuto, in Sudafrica ed in Namibia, proprio Vito Roberto Palazzolo, ancora latitante, riciclando anche ingenti somme di denaro per
conto di Cosa Nostra.

Bonomo, insieme al genero Giuseppe Gelardi, era fuggito dapprima in Grecia e poi in Sudafrica dove sapevano che si trovava Palazzolo e che, dunque, avrebbero trovato sponda e contemporaneamente offerto la propria potente sponda di reti, politiche e non solo, in Italia.

Giuseppe Gelardi, genero del Bonomo, era anche nipote di Nino Madonia che, sulla scorta di quanto riferito pressoché da tutti i collaboratori, era amico, socio e compare dello stesso Palazzolo. “Entrambi dopo l’arresto del Monticciolo, uomo d’onore vicino al Brusca ed operante nella zona di San Giuseppe Jato e Partinico – scrivono i giudici nella sentenza – temendo che questi potesse iniziare a collaborare, cosa poi effettivamente accaduta, erano immediatamente fuggiti da Partinico e si erano recati in Sudafrica, certi dell’ospitalità del Palazzolo. Tale fuga dall’Italia con al seguito la famiglia non era certo stata determinata da un desiderio di una vacanza di piacere ma unicamente dal timore di essere di lì a poco tratti in arresto a seguito delle probabili dichiarazioni del Monticciolo. Con tutta evidenza entrambi sapevano molto bene che il Monticciolo era a conoscenza del loro ruolo in cosa nostra e dei reati scopo che avevano commesso, tanto da decidere di sottrarsi volontariamente e preventivamente alla cattura”.

 

I RISCONTRI DEL PASSAGGIO CONVIVIALE 

 

Dai registri di frontiera risulta che Gelardi aveva fatto lo stesso viaggio del suocero per e dal Sudafrica nei giorni 18 e 19 marzo 1996, quindi aveva fatto ritorno a Città del Capo in aereo il giorno 27 marzo 1996 e risultava essere uscito definitivamente dal Sudafrica sempre il 21 maggio 1996 con l’automobile del Palazzolo ed attraverso lo stesso varco di frontiera per la Namibia. Sua moglie, Marianna Bonomo, invece, risultava entrata in Sudafrica (in aereo via Johannesburg) il giorno 31 marzo ‘96 ed uscita con le stesse modalità del padre e del marito.

Una perquisizione del 15 giugno ‘96 aveva chiaramente dimostrato la recente presenza, nelle villette destinate agli ospiti di casa Palazzolo, di un italiano anziano a nome Giovanni e di una coppia con un bambino piccolo che ancora adoperava i pannolini: esattamente come la famiglia del Gelardi, il quale era accompagnato dalla moglie Marianna e dalla figlia in tenera età.

Il fatto che una gran mole di vestiti di marca e provenienza italiana – si legge ancora nella sentenza –  fosse stata lasciata all’interno degli armadi e che addirittura un pannolino fosse ancora all’interno della lavatrice, a giudizio dello Smith, stava ad indicare che il gruppo aveva abbandonato la casa in fretta e furia. Addirittura il teste riteneva di poter supporre (ma rimane una supposizione seppure affatto infondata alla luce della rogatoria espletata) che il Palazzolo fosse stato avvertito in tempo della imminente perquisizione presso il suo domicilio ed avesse così potuto far fuggire i suoi ospiti di gran premura proprio per evitare che gli stessi venissero sorpresi mentre ancora si trovavano a casa sua”.

Bonomo e Gelardi sarebbero stati ospitati dal Palazzolo per circa 10-15 giorni presso la sua azienda La Terre de Luc ed accompagnati il 21 maggio 1996 al varco di frontiera con la Namibia (il varco di Vioolsdrift) con una Mercedes targata CJ81148 intestata ed in uso al Palazzolo.

 

LA TELEFONATA TRA PALAZZOLO E SUA SORELLA SARA

 

Palazzolo il 28 dicembre 2004 conversa con l’amata sorella Sara.

Dall’esame della trascrizione testuale della conversazione si ricava che, poco prima della telefonata, il Palazzolo aveva ricevuto una chiamata proprio da Gelardi che in quel momento era ancora latitante.

Gelardi aveva solidarizzato col Palazzolo per la sua vicenda giudiziaria connessa anche all’ospitalità fornita a lui ed al suocero, confermando di essere stato suo ospite e di avere discusso di un possibile commercio di vini dal Sudafrica in Italia.

E forniva la propria disponibilità a far contattare il proprio avvocato (Marasà) per ulteriori informazioni e chiarimenti a sua difesa.

La conversazione, è bene precisarlo, si verificava poco dopo l’espletamento della rogatoria in Sudafrica, circostanza alla quale più volte gli interlocutori facevano riferimento nel corso del dialogo.

Nel corso della telefonata con la sorella Palazzolo riferiva tutto così:

Palazzolo: “allora questo è un avvocato che difen
de questi sprovveduti che sono venuti in Sudafrica….

Ecco e allora oggi mi è arrivata una telefonata di questo signor Gelardi… dice: io ho telefonato perché ho sentito tutte queste storie e sui giornali tutte queste situazioni dice: io desidero che lei si difen… che tu ti difenni che fai picchì io vinni docu ca avevu u me passaportu (io sono venuto là che avevo il mio passaporto, n.d.r.)…

dice: chissi su quattru buffoni perché vengono docu in Sudafrica dice, praticamente, per veniri a viriri si satai u ciumi si (inc.) sud africa” (per venire a vedere se ho saltato il fiume, n.d.r.).

no, noi che che cosa ci possiamo… quello che loro dicono, che sono venuti qua nella rogatoria, dicevano: possibilmente quello è saltato un’altra volta dal fiume, perché il confine non è controllato, è venuto un’altra volta in sudafrica, dove lui li ospita etc. etc., no chisti sono gente infedele completamente, bisogna farlo presente agli avvocati questa cosa…”.

Gelardi non capiva perché non lo cercassero là o non chiedessero l’estradizione mentre continuavano ad infangare e perseguitare il Palazzolo per l’ospitalità fornitagli in Sudafrica:

dice: io non ho fatto nessun reato, io so…, sono stato un lavoratore, sono illustre incensurato, fino al momento che sono arrivato in Sudafrica, io a lei un’ha canusceva, sono stato presentato per fare sti commerci di vini, non non sapeva manco che lei era in Sudafrica…”.

 

L’OMBRA IMMANCABILE DEI SERVIZI SEGRETI

 

Palazzolo era molto preoccupato per il  modo in cui Gelardi era venuto in possesso del suo numero di cellulare, aggiungendo anche che non era la prima volta che ciò era accaduto.

La sorella Sara, addirittura, suggeriva al fratello che Gelardi poteva aver agito su mandato dei servizi segreti per cercare di incastrarlo ed il Palazzolo aggiungeva che non avrebbe riferito la circostanza alle autorità italiane ma solo al suo avvocato per cautelarsi.

Dal tenore della telefonata intercettata, comunque, si ottiene al conferma certa e proveniente dallo stesso Gelardi dell’episodio dell’ospitalità fornitagli (ovviamente assieme al suocero) dal Palazzolo in Sudafrica nel 1996.

Vale, poi, la pena di osservare come il Palazzolo non abbia portato a conoscenza delle Autorità, in ipotesi anche tramite il suo difensore, l’episodio della telefonata ricevuta dal latitante Gelardi, con ciò dimostrando di avere dei giustificati timori.

Non che in capo al Palazzolo esistesse alcun obbligo giuridico di denunciare l’episodio ovvero di consentire la cattura di Gelardi ma di certo il contesto e il tono della conversazione con la sorella lasciano chiaramente desumere una viva preoccupazione ed il timore di poter avere altri problemi a causa di Gelardi.

Certo è che né il Palazzolo si è adoperato per consentire la cattura del Gelardi, avvenuta autonomamente ad Abidjan (Costa d’Avorio) il 26 marzo 2005, né quest’ultimo ha agito per conto e su mandato di alcuna istituzione italiana.

 

LO CERCAVANO DOVE NON ERA

 

La telefonata tra il Gelardi ed il Palazzolo del 28 dicembre 2004, tuttavia, al di là dei commenti fuori luogo sull’operato degli inquirenti e delle “tragedie” sulle reciproche innocenze, fissa alcuni parametri di sicuro rilievo: 1) Gelardi ammette di essere stato ospite del Palazzolo in Sudafrica nel 1996 e di avere anche discusso della possibilità di avviare un commercio di vino tra quello Stato e l’Italia; 2) i due, sia pure commentando negativamente le strategie investigative degli inquirenti, fanno riferimento alla possibilità di “passare il fiume” (lo stesso sistema riferito dal teste Viljoen) e cioè di valicare il confine con la Namibia clandestinamente ed, addirittura, il Palazzolo fa riferimento a “saltare il fiume un’altra volta” come se ciò fosse avvenuto in più occasioni; 3) Gelardi si mostrava dispiaciuto per il fastidio che l’ospitalità ricevuta dal Palazzolo aveva arrecato a quest’ultimo (il processo a suo carico anche per tale specifico episodio) ma si lamentava del fatto che gli inquirenti lo cercassero ancora in Sudafrica – circostanza peraltro non vera nel 2004 – mentre lui si trovava in un’altra nazione ben nota alle ambasciate italiane; 4) Palazzolo viceversa palesava chiari segnali di nervosismo e preoccupazione per la telefonata ricevuta, dimostrando di avere qualcosa da nascondere e temendo che Gelardi potesse dargli altri problemi oltre  a quelli che già gli aveva causato nel 1996.

A parte questa importante conversazione del 28 dicembre 2004, in quel lasso di tempo furono intercettate diverse altre telefonate di sicuro interesse investigativo.

Si tratta sempre di conversazioni tra Palazzolo e la sorella Sara, la quale nel corso del
tempo ha sempre dimostrato di essere il principale anello di congiunzione tra Palazzolo e le vicende siciliane ed italiane.

In particolare, il 7 gennaio 2005, quindi pochi giorni dopo la telefonata di Gelardi, Palazzolo riferiva alla sorella di essersi incontrato con qualcuno (“mi vitti cu chiddu assira, no?”) e di essere più tranquillo dopo tale incontro.

Ma qui si apre un nuovo e straordinario fronte sulle coperture (italiane e internazionali) di cui in tutti questi anni avrebbe goduto Vito Roberto Palazzolo.

Seguitemi domani e ne leggerete delle belle. Anzi bellissime.

r.galullo@ilsole24ore.com

2 – to be continued (la prima puntata è stata pubblicata il 14 giugno su questo blog. Cercatela in archivio)

P.S. Se volete leggere storie avvincenti di mafia della porta accanto, acquistate solo in edicola fino al 20 giugno il mio libro “Economia criminale-Storie di capitali sporchi e società inquinate”. Ogni copia è un calcio in culo ai quaquaraqua delle mafie e abbiate pazienza se dovete girare più di un’edicola per trovarlo. Credetemi: ne vale la pena!

  • Livia Leardini |

    Caro Dott. Galullo, la gentile Signora Valeria credo dubitasse al solito di San Marino… Dove è molto facile dire che siamo tutti ladri e trappoloni…Tutti 31.800 residenti… Così, giusto per non fare di tutte le erbe un fascio e per credere che le cose sono molto semplici nella vita. Quindi chieda scusa alla sua affezzionata lettrice, la merda era per i sammarinesi, tutti inclusi, senza alcun distinguo, of course!
    Non credo assolutamente dubitasse di Lei e del suo onorevole lavoro. Leggero il Sole, come sempre, domani mattina.
    Buon lavoro.
    Firmato
    una ignobile cittadina sammarinese…come tutti gli altri, giusto per precisione!

  • galullo |

    Caro Lustig e cara Valeria:
    1) Lustig, capisco perfettamente quello che vuole intendere, ma non credo
    2) Valeria non so dove fosse lei quando io mi occupavo di mafia. Probabilmente non c’era o se c’era dormiva, Prima di scrivere si informi, non faccia qualunquismo sul giornalismo (1 su 100 merita di essere definito tale) e dica al mondo quali potenti mezzi è riuscita a scatenare contro le mafie oltre a quello della protesta. L’umanità e io ne saremo grati a vita. Scusi ma ho il dono innato dell’antipatia nel quale mi crogiolo come un gatto sulle cosce della padrona
    roberto
    p.s. Cara Livia, grazie ma domani leggi il Sole.

  • Valeria |

    Ueeeeeeeeè grazie….Vi occupate anche di MAFIA!…Forse cominciate ad essere utili alla società, alla cultura italiana? Chapeau!…

  • Livia Leardini |

    Dal sito “accaddeinitalia.it”:
    “Mafia: Sudafrica concede estradizione per il super latitante di Cosa Nostra Vito Roberto Palazzolo
    Monday 31 May 2010
    di Monica Centofante
    Le autorità sudafricane voltano la faccia a Vito Roberto Palazzolo. E per la prima volta dopo anni di inutili richieste il ministero della Giustizia locale sostiene la domanda di estradizione formulata dai pm di Palermo Domenico Gozzo (oggi procuratore aggiunto a Caltanissetta) e Gaetano Paci.
    Chiedendo ai giudici sudafricani di consegnare il boss-finanziere alla giustizia italiana. Per il Governo di Pretoria, Vito Roberto Palazzolo “l’imprendibile” potrebbe quindi tornare in Italia. E ad attenderlo, dopo la condanna definitiva a nove anni per associazione mafiosa sopraggiunta nel marzo del 2009, vi sarebbero finalmente le patrie galere.
    Ricercato sin dai tempi di Giovanni Falcone Palazzolo è infatti un latitante, uno dei più pericolosi secondo il Ministero dell’Interno, ma non si è mai nascosto. Protetto dalla falsa identità di Robert Von Palace Kolbatschenko, regolarmente approvata dalle autorità sudafricane, dal 1988 vive da uomo libero nella valle di Franschoek, a un’ora da Città del Capo. E frequenta i salotti buoni dell’alta finanza e dell’imprenditoria locale.
    Considerato il tesoriere di Totò Riina e Bernardo Provenzano è uno dei protagonisti dei grandi traffici internazionali di stupefacenti degli anni Ottanta e tra i principali riciclatori dei soldi di Cosa Nostra. Attività che non avrebbe mai lasciato mentre in Sudafrica , per come emerge da diverse indagini, avrebbe anche ospitato latitanti della mafia siciliana.
    Nel 2003, una serie di telefonate intercettate con la sorella Sara avevano rivelato un suo tentativo di “aggiustamento” del processo in corso contro di lui. Per il quale alla sorella il boss aveva detto di cercare il senatore Marcello Dell’Utri, specificando: “Non devi convertirlo, è già convertito”.
    Oggi la procura di Palermo definisce Vito Roberto Palazzolo “una delle più importanti e oscure figure dell’associazione Cosa Nostra”. Inserito “da oltre vent’anni nelle dinamiche associative mafiose, con funzioni rilevanti di cerniera tra il mondo imprenditoriale internazionale e l’associazione criminale, con lo scopo precipuo di consentire a Cosa Nostra la gestione e il reimpiego dei capitali assunti illecitamente”.
    In seguito all’ultima richiesta di estradizione il boss finanziere ha fatto immediato ricorso all’Alta Corte e da alcuni giorni i suoi avvocati stanno discutendo in udienza, arrivando anche a ipotizzare un “complotto internazionale” nei confronti del loro assistito.
    Adesso a Pretoria però, la Corte di giustizia è stata chiamata a decidere se accogliere o meno la richiesta dei pm. E il responso, che potrebbe arrivare da un momento all’altro, questa volta non è per nulla scontato.
    Fonte: Antimafia Duemila ”
    Conosco da anni, per motivi personali, due grandi giornalisti svedesi che tanto hanno fatto per il Sud Africa, Lennart e Ewonne Lennart. Conoscono personalmente Nelson Mandela, che hanno affiancato e supportato con una formidabile azione mediatica in Europa e negli Usa negli anni della sua lotta dalla prigionia. Non è un caso, essendo svedesi. Il Paese, nella mia personale opinione, più evoluto sui temi dei diritti civili in Europa. Questo, ovviamente, in base alla mia pur sempre limitata conoscenza del tema, ma, in questo caso, con una esperienza diretta per loro tramite. Ho chiesto che La contattino per sapere la possibilità di successo ed i tempi per un’eventuale estradizione. Non so se La contatteranno, in ogni caso hanno la Sua mail. Speriamo di ricevere ragguagli al riguardo. E soprattutto che siano buone notizie.
    Sulla partita fra Italia e Paraguay per la prima volta, nel mio Paese (San Marino), ho ascoltato opinioni di persone sul non tifare Italia per una sorta di ritorsione. La ritengo una benemerita cavolata ma anche un grave segnale. Mi auspico che l’Italia sappia chiedere alla mia Repubblica la massima trasparenza senza strangolarla e senza ingenerare moti d’odio. Sarebbe una sconfitta, per entrambi i Paesi e per le rispettive civiltà.

  • lustig |

    Caro Galullo, è sempre un piacere leggerla. Un solo piccolo appunto: è sicuro che il posto di frontiera fra il Sudafrica e la Namibia sia costituito da un fiume? Dato il mio 16° di sangue siciliano “vidiri e svidiri si sautò u ciumi” potrebbe anche stare a significare “sincerarsi se sono passato dall’altra parte”, se cio+ sono diventato “arrusu, curnutu e sbirro”, cioè, per dirla alla romana, ‘nfame.
    Per la nazionale, ringraziamo, per ora, San Daniele de noantri. Un caro saluto

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